tropico d'inverno

Noli homines blando nimium sermone probare (Non prestare fede al dolce suono della lode) (Catone, Distici, 1,27,2)

1

Sono solo e sono morto. Piegato a terra, il viso dentro una pozzanghera, le ali spezzate, neanche la voglia di respirare, neanche l'orecchio per sentire il battito del cuore, neanche il sangue e le vene per il sangue che lo farebbe battere...il cielo è cupo, una pallottola d'argento aperta, liquefatta e bombata esattamente sopra la mia testa e oltre...provo a voltarmi ma il dolore nel respirare si fa rarefatto ma costante, silente ma opprimente...mi cerca e mi trova subito, perche'tra tutte le non voglie che ho, quella di nascondermi è la meno evidente, e quella di farmi scoprire dal dolore serpeggiante è la piu subdola, e quella che quindi avra'la meglio sulle altre...e bravo, sei stato furbo a trovarmi caro amico dolore...ma che puoi farmi, sinceramente , piu'di quello che mi hai fatto fino a adesso?...naufrago di un Itaca che neanche esiste, amato da una Penelope senza tela, Cavallo di Troia che non entra nelle mura della citta'...abito in una collina senza alberi e sentieri, raggiungibile solo se non la si vuole scoprire.....il coraggio mi arriva poi all'improvviso e allora cerco di guardare il sole , un esperimento di sollievo statico ma che mi fara'ripiombare in bilico sulla lama che alfine capisco essere l'unica mia strada Maestra, tra i pilatri del Partenone, io passo lento, cammino, mi trascino, ma di certo mai penso a correre...strappato da un sonno rifugio dal sonoro del rumore eterno e infernale del battito. La vita a volte mi insegue senza sosta, offrendomi elemosine di ripari, ma sono tutti stivali che all'interno celano un serpente velenoso e scattante, che prima di mordermi mi guarda con rabbia e senso di sfida, ma io lo aspetto con disarmante colpa , e lui lo sa. Scatta, vibra, fende e ferisce, ed è li', in quel momento esatto di dolore che mi sento finalmente, o purtroppo ancora, al centro del mio universo statico di occhio di bue illuminato di teatro vuoto.

Il ricordo comincia quando la pioggia mi coglie seduto su una stradina laterale, cupa senza uscite , tranne un insegna che recita “ THIS IS NO EXIT" posta di fronte a un muro smerigliato. In una specie di sogno misto a risveglio di incubo vedo una processione lenta , uomini incappucciati che portando ceri altissimi e feretri scuri si dirigono in prossimita'di un Golgotha spoglio senza visite alcune da secoli...la sede della mia ultima sede è spoglia, disadorna, non certo come me la immaginavo, io egoista e egocentrico, a immaginarmi un esercito di questuanti al passaggio delle mie morte sembianze, mentre da lontano un eco di gabbiani si alza in volo...e invece mi tocchera'il nulla assoluto, gia'lo capisco da queste avvisaglie, un nulla assoluto che prende forma e colore illustrando cartoline tristi di vecchi tramonti che hanno perso ogni loro stilla di colore argenteo, semmai fosse stato purpureo. Mentre continuano le mie fantasie illustrate, continua anche la processione dentro la mia mente e continua anche la pioggia insistente e battente, specie sulla vecchia lamiera che ne risalta gli spessori, le angolature e i suoi cromati e sordi, che rendono muti chi li ascolta nel battito regolare inframmentato di scaglie di raggi di sole, che si scoprono solo dopo l'eco della goccia, essere solo un ricordo di sinapsi mentale, collegato al flashnack delle lunghissime giornate estive...specie i pomeriggi, quando le uniche gocce d'acqua che si potevano immaginare, erano sparse, nascoste e mimetizzate negli acquitrini paludosi degli stagni gracidanti...tic toc toc toc toc......la pioggia continua a scendere, come a ridere del mio ricordo umido.

Di notte la lama scintilla ergendosi sopra ogni ipotesi di sonno, pensiero decrescente di un vermiglio albeggiare..Nei saloni l'eco è un lontanissimo ricordo che penetra dagli occhi al cuore seguendo tortuosi labirinti corporei che stanano ombre malvagie , fisiche, organiche, materiali, ma allo stesso tempo intangibili, e ancora imperturbabili..questa è la natura e la sostanza dell'ombra formata, ormai possibile..lo stagliarsi è la sua natura, e potremmo dire anche il suo destino, semmai la definizione destino si confaccia a un ombra.

2

Fuori fa caldo, o freddo , non importa...quando si comincia o si vuole cominciare a scrivere non conta nulla come si sta, quanto freddo faccia, chi abbiamo visto prima di rientrare a casa, o chi vorremmo vedere uscendo, conta solo il racconto, le parole scritte con penna, sangue o programmi 2.0. Conta il quantitativo, il didascalico,il contenzioso con il lettore, la sfida intellettuale, lo sbrigativo del sonno che prende mentre il libro viaggia da solo, ti sfida, diventa lui L'ID e tu autore solo un piccolo insignificante invertebrato Es......sembra che questo sia sempre stato e avvenuto, che Lui ci sia sempre stato e che tu gli giri attorno come privato della forza di gravita', come se ogni cosa fosse da lui risucchiata e il resto della giornata in cui non scrivi o non lo pensi fosse inutile, come il resto della tua vita, tu..misera appendice privata del cuore, del sangue , dell'essenza, della sostanza...per qualche astrusa formula alchemica la copertina in pelle dura si apre e dentro vi convoglia con stridore di freni unti di poco olio ma curatissimi, i ricordi delle serate al mare, il sapore di un bacio cattivo, un peccato di coscenza, un illusione subitanea, un prodursi di profumi dove meno li aspettavi e dove piu giravano strani e fumanti in cerchi concentrici, riprodotti come uova gia'senza guscio in un meccanismo meccanico freddo alienante e barocco antico....fiumi di porpora su quadri del tardo Novecento, che al suono di un arpa volteggiano, adesso facendo intravedere un alabastro, adesso un velo di marmo.Poi ti sposti, ti allontani da quel panorama desolato e solo allora vedi e metti a fuoco le parole, che come vampiri ti risucchiano e portano con se sulla bianca carta increspata i pezzi della tua memoria e non ta la rilasciano piu...loro lo sanno, i fantasmi dei pulviscoli organici, come funziona il mondo, la teoria della sottrazione ma soprattutto dell'addizione al togliere, lo sanno che per ingigantirti devi annullarti e per sfaldarti devi ricomporti come una carcassa al sole, che non mostra ne'pieta', ne pietas, ne risentimento, ma fa solo bella mostra di se con i suoi Ray Ban colorati che riflettono il sole su una pietra senza lucidita', e ti rimanda con gli sguardi del terzo occhio di riminescenze indiane al tuo primo contatto con uno specchio di forma sferica... cosi'brillante da abbagliare, da lasciarti disteso non a osservare la tua immagine , ma lo specchio e le sue levigature. non c'è piacere edonistico superiore allo stuprarsi fino a annullarsi, decontestualizzarsi, empatizzarsi con l'aria intorno, e non con la sostanza dentro..vedere le cose, ma non la nostra proiezione che verso le cose va, notare di noi solo le assenze, il bello del non esserci, l'attimo prima e l'attimo dopo che siamo passati da quelle parti, il dolce nichilismo del non preoccuparsi della remotita'terrena, tanto pesante quanto piu'inopportuna, desueta e inutile..darsi per dispersi da noi stessi, sapere di esserci quando non fa comodo, e non esserci quando c'è bisogno , questo si che è spettacolare, piu'colorato di fuochi d'artificio, piu alieno di una nuvola passeggera, piu'profumato di una rosa morente...il sollievo è piu pesante della pesantezza della presenza, del dover battere gli occhi ogni tre parsec, del respirare inalando atomi e facendo fuoriuscire molecole, agitare prima dell'uso, monopolizzare dolore fisico e sopportazione mentale, giungere a uno stato dell'oblio in cui ci si puo'chiedere davvero, ma per davvero " ma ci siamo mai stati?" , e chiederlo, senza materializzarsi, ai presenti , alle persone che con te hanno avuto a che fare, a coloro che ti hanno visto, ma a forza di sentir negare , anche da te stesso, la tua presenza, cominciano a dubitare.."ma l'ho davvero visto?" ...forse no...e dopo tanti forse, il forse comincia a diventare SICURAMENTE, e martella sempre piu'regolare, finche'l'incostanza diventa certezza di assenza..passare, lieve, come un battito di ciglia, passare dove è passato Giulio Cesare durante le idi di Marzo, calpestare dove ha calpestato Alessandro, bagnarsi i piedi con le acque dello Stige, e arrivare nella selva oscura dove perfino Virgilio dubito' della sua strada e delle ombre che la percorrevano,essere l'unidcesima isola naufragata di Odisseo..e alla fine non trovare nessun rigo, nessun passo, nessuna leggenda o tradizione tramandata ne'da Assiri, ne'da Leviatani, ne'da Moscoviti, ne'da Cartaginesi, ne'da pakistani, induisti, nepalesi, vegetariani, cavalieri, imperatori, gente del popolo, ambasciatori e teste tagliate, malati immaginari e morti viventi, artisti, pittori, scultori, impaginatori, scribi, traduttori, pietre magiche e Dolmen aztechi....in nessuno di questi luoghi arcani, neanche nelle loro vette o nelle loro fangose pozze, in nesso di questi luoghi dico, trovare non un segno, ma neanche un illusione tra le righe, un accenno fatto con sorriso complice...nulla,nulla, nulla del tuo passaggio. E compiacersi di poter un giorno annullare anche l'espressione compiaciuta di quando si scopre di non avere mai partecipato al creato, di non essere mai esistiti, di non avere mai avuto forma . Un lento ristagnare di seta tra profumi di balocchi, nell'aria coriandoli e odore di incenso...ce ne stavamo fermi e immobili nelle distese aeree delle domeniche pomeriggio che ci occupavano tutto il mese, confrontandoci con aerei, lucertole, e soprattutto i visi e gli occhi che spuntavano da calli del nostro passato...per le vie antiche di citta'mai visitate, le spume dei bagnasciuga al tramonto ci portavano colori porpora, ma era il suono del ricordo che ci atterriva, ci faceva pesare anche un piccolo innocuo gesto come il legarsi le scarpe, come l'appoggiarsi col dorso delle mani a terra per fare pressione sul corpo affinche'si destasse da quel sonno che ci pareva eterno e soprattutto senza un domani certo. Un esperimento da poter tentare...quanto restare fintamente vivi e veramente morti in quel luogo nel buco piu'maleodorante del mondo? secondo esperimento: quanto il nostro fetido aroma avrebbe impiegato per contagiare a sua volta i dintorni e i confini tracciati come fanno gli animali? chiss'magari tra decine di decenni qualche studioso avrebbe anche potuto interessarsi alle nostre prove d'orchestra, ma non noi, di certo non in questi momenti perduti nelle nebbie...semplicemente non volevamo forzare la nostra mente, i nostri occhi immortalati in un arcobaleno monocolore, non volevamo sporcarli nuovamente di quel grigio che sembrava appartenere alla brumosa brughiera inglese, quella che vedi nei vecchi e ingialliti film di Sherlock Holmes, nei quali lo scontro finale avviene inevitabilmente all'ombra di un suono di campane e con panorama un profumo di cantina ammuffita...certo la pellicola sara'di sicuro ingiallita, e l'archivista morto, oppure suo figlio avra'preso annoiato e noioso il suo posto, indossando, magari sbuffando il pastrano del vecchio cinematografaro, consunto nei suoi anni, e spiegazzato per il troppo stare tra le sedie del cinema abbandonate..se ci destasse un passare lento di un vascello, un qualsiasi vascello, anche una giunca , anche una zattera triasse, o anche un portaspezie , non so se ne saremmo lieti del suo passare , non so se ci metteremmo a sventolare fazzoletti oppure gli correremmo incontro, fino al greto piu'estremo del fiume, lembo appena umido e molle, per cercare qualche sasso e tirarlo verso la poppa, con tutta la rabbia possibile disegnata nella traiettoria...un dubbio che mi assilla, che percorre la distanza tra il possibile percorso sul fiume smosso dalla scia, strisciando come biscia innocua ma velenosa, fino ad arrivarmi al gomito, salire sulla spalla, scrollarmi di dosso polvere di anni secoli e menzogne sentite attimi prima...restiamo come in una sfida, legati e avvinti in fili invisibili di rame in una polverosa strada Texana, le colline dietro, il pannello del set cinematografico teso, spinto da svogliati operai sporchi di carbone...l'orologio del tempo bloccato, nebbioso di fiume d'etere che arriva forte alle narici, ti fa starnutire, fa male al naso, entra in gola, si dipana in cento arterie venose, arriva al cuore e pulsa e fa male.

3

Solo questo mi disse, lasciandosi quasi andare, pallido serpente che si arrotola nei ricordi langui :

“..nei tuoi passi il sangue che scorre lento e rosso vermiglio, nei tuoi occhi il pianto altero di un bambino cattivo, nei tuoi desideri il mare in tempesta, e gli scogli sono affilati come i tuoi respiri silenziosi, che urlano quanto la neve che cade su un lago ghiacciato....un lupo alza la testa in lontananza, sente l'inverno che arriva , quando tutta la foresta si asciuga dall'Estate e se la toglie di dosso come un vecchio mantello...in un castello giunge il richiamo dell'ululato lento..e una porta di ferro antico sbatte echeggiando metallica..i corridoi passano ai nostri lati veloci , di sfuggita ne vediamo i bianchi alabastri e le profonde crepe, che indugiano su scalinate di marmo che scendono verso abissi scuri...scendiamo e a ogni passo sentiamo piu'freddo, mentre a lato togliamo le ragnatele...un vecchio dipinto ci scruta immobile, e gli oli della tela si sentono ancora,misti a incenso e mirra....le nostre ferite sul collo cominciano a pulsare ancora prima di sanguinare, è uno sgorgare lento e gocciolante ma interno, segreto e inconfessato...come una processione di monaci che vanno a una messa nera, nel cimitero sconsacrato di Gorgoroth, la pianura del peccato e della espiazione..un corvo si appoggia alla ghigliottina, ma intorno solo il soffio del vento del deserto si apre la strada a orizzonti a volte sospesi, a volte infiniti...ma sempre oscuri.....

Perifrasi e catarsi , i due volti della mezzaluna insonne si compongono in un alllineamento atavico, vecchio di secoli , nuovo di futuro, e percorre come occhi di lupo affamato distese di steppa kirghisa, insediandosi talvolta in albero, in ramo caduto, in accidentale groviglio di arbusti autoalimentato da un fuoco di spine. Il freddo è piu'che possibile, è tangibile quel poco da considerarsi eterno e indissolubile, rarefazione di un oncia di granello di sabbia, incoerente in una cornice lignea fatta di Gennai infiniti, che si rincorrono in un calendario posticcio , durevole quanto la brezza di mezzanotte.Un sentiero percorso da anime sinistre in lugubri processioni sconsacrate, frammenti di una chiesa che di ateo ha solo la sua religione, e di alabastri colora i suoi vascelli, destinati dal primo legno a percorrere mari inesistenti, liquidi, e omnicomprescenti. Sfumano le loro piccole vestigia, inghiottiti senza apparente pieta'nella bianca distesa, quasi che l'occhio non potesse percepirne molteplici segreti e perentorie forme assilanti come versi notturni non identificati. Una montagna possibile..la'dove prima, ma anche durante, si trova un livello del terreno bruleo ma senza incanalature, come senza increspamenti, e per questo senza neanche la piu infinitesimale altura . Giunge fin qui il grido del Corvo. .Resta ben poco da tramandare , quando la stessa materia dell'immagine giace sepolta da strati, strati densi e fumosi allo stesso tempo . Eresia innalzare steli senza nome e senza effige? Iconoclastia deporle senza corspi da custodire? che sia davvero questa l'essenza stessa del deserto, un deserto fatto di anime??

4

Quando arrivo' l'inzio della fine dell'ultima estate, eravamo fermi su una spiaggia cosparsa di un misto di giornali, vecchi tg, antenne televisive arrugginite e coriandoli di arsenico..ce ne stavamo lenti, appoggiati a un muro secco, che ti faceva sporcare di calcina e polvere se ti appoggiavi troppo..ognuno di noi guardava lontano, penso piu'cercando il profumo della salsedine, piuttosto che la vicinanza degli altri...questa presenza fisica veniva vista piu'come un fastidio, che come un aiuto dalla solitudine, per noi era preferibile l'individualita', piuttosto che la non compagnia...ricordo distintamente che a turno, senza un ordine precostituito, ma con una allegoria alchemica imprevedibile, incastrata come un puzzle, cominciammo a raccontarci le esperienze delle ultime letture estive, che ci avevano accompagnato in questi ultimi lunghissimi quattro mesi e tre ore....chi citava Lovecraft con le Montagne della Luna, chi , quasi deriso e noioso, l'Ulysses, chi infine l'opera piu'misconosciuta di Miller, che scherzando fingevamo di scambiare per Mailer...cosi'ci si trascinava sulla spiaggia, verso l'ultimo anello del tramonto. Ogni tanto la scintilla elettrica dello sguardo con lei, ma svogliato, afono, senza davvero importanza...fu per questi sguardi che la identificai concretamente con la fine dell'estate...come fossero un tutt'uno...e cosi'ogni volta che la guardavo, anche nei freddi pomeriggi di un 31 Febbraio, esclamavo mentalmente, ma cosi'forte che pareva tutti si voltassero: "eccola, è lei...sei tu...tu sei la fine dell'estate..."

Lei mi lanciava un occhiata distratta, identica a quella che io ricordavo e nella quale la identificavo..come se il cambio delle stagioni non significasse nulla..ma io sapevo, io lo sapevo che con il suo improvviso volgere delle spalle a teatro chiuso voleva dirmi:

"si, lo sono....."

5

E poi la coscienza che l'uomo è l'essere piu'patetico che lo scherzo del creato abbia dipinto, una sorta di Michelangelo al contrario, dove il patetico assurge a forma di arte, quasi iconoclastica, che non segue orme precise, ma al contrario avviene...semplicemente “avviene"..questo è l'opera di argilla amalgamata a Creta che si definisce “esse umano", un coacervo di inanimato, di pupazzesco appoggiato a se stesso, o a un albero, non importa, non conta, l'importante, il fondamentale del fondamento è che “ ci si appoggi, ci si aggrappi" ...da soli non siamo capaci di resistere a nulla, alla prima folata di vento si cade si foglie morte che neanche si degnano di fare rumore quando cadono....arriva un raggio di sole, si fonde nell'azzurro striato di scie chimiche del cielo, ma nulla si muove o si frammenta a causa o per merito dell'uomo, cosi'piccolo e strisciante che fa credere che i suoi pensieri e i suoi drammi quotidiani malcelati, siano piu'importanti dello spostarsi di una foglia, del cadere ineluttabile della pioggia di fine estate, o del nascere di un fungo .

L'esempio piu'calzante, se proprio esso deve essere fatto per agevolare il concepimento del concetto, è un enorme preservativo sgonfio, nuovo di zecca, ma perfettamente inutile, visto che in giro non c'è nessuna fica degna di tale nome...ecco, questo calza a pennello...tutto ruota intorno al semplice complicat concetto del nulla considerato il tutto , del vuoto considerato vuoto pneumatico, e quindi degno di una qualche piccola importanza sotto il sole...osservare un pulviscolo e dargli l'impalcatura che dovrebbe sostenere un t-rex al museo preistorico, o dare da mangiare un granello di pop corn a una balena bianca...tutto è sproporzionato, non ha una sua fase, non si vede strisciare un verme con un telescopio per Marte, è un totale spreco di fiato, energia, doti umane e mediche, scentifiche, monetarie, che non si capisce se il tutto sia voluto, oppure solo e semplicemente frutto di una distrazione quasi maniacale....passeggiare tra le statue del Partenone avendo con se una agenda per la spesa, un bloc notes con dentro disegnato solo un sole che spunta da tre righe messe a formare una montagna, e per giunta ....il sole ride! ...ecco con quale base culturale noi abbiamo invaso il 22 secolo, siamo ridicoli schizzi di inchiostro che deve colorare una pergamena che fara'da base per una piramide egizia, ma nonostante questo ci proviamo lo stesso, voltandoci sospetti per paura che qualcuno se ne accorga, ma chi,visto che siamo tutti in fila dietro allo scrivano?

Rimane quasi come ovvia e ultima soluzione (finale?) quella di mettersi alla tastiera del portatile, aprire il Q10 e cominciare a scrivere, a innalzare un empio e eretico e eresiaco tempio di argilla modellata a inchiostro times new roman corpo 12 formattato col sangue, e fare uscire il flusso nel suicida flusso della coscienza che sembra procedere a un percorso inverso della logica, invece che essere lo scrivente, o scrivano, o addirittura scrittore, sia il flusso che dello scrittore si nutra, lo scarnifichi avvolgendolo come mortale Boa in una spira in cui se vuole respirare, se ci tiene davvero a farlo, l'uomo con la penna deve lasciare andare tutto, correndo il rischio di non ritrovarsi al ritorno, viaggio sull'Orient Express nel suo ultimo percorso, senza macchinista, senza binari, senza la certezza che qualcuno, anche se fosse l'ultima ruota dei bulloni, l'ultima traversina, l'ultimo dei controllori arrivato al viaggio di cinque minuti prima della pensione, si interessasse al semplice fatto che la locomotiva, almeno quella di mezzo adibita a passeggeri, la sesta classe, arrivi in fondo al suo Express, dove averne attraversato stantuffante l'Orient.

6

Tra soleggiate distese aride di strade deserte , tra barriere umilianti per noi umili e abituati a essere umiliati, ci si sente stanchi in questa lunga e corta estate calda. Ci si sente in attesa, su un altana, su un poggio senz'acqua, appoggiati a una feritoia di vedetta, con il fucile scarico e madido di sudore, mentre il nemico fa sempre la stessa cosa...non arriva. A un tratto sembra di avvistarlo, forse è lui...eccolo, inquadriamolo presto nel mirino, diamo fuoco alla miccia e seguiamo il vento come novelli cecchini, ma d'un tratto...ancora lui, il nulla che nemico non si sa se ci è..Attese estive, distanti dalle dormite pigri invernali, ma sempre stancanti, affossanti, che piegano i tendini delle gambe e le retine degli occhi. Il mare è sempre li', e le fortezze lo stesso, loro se ne fregano...solo noi aspettiamo , aspettiamo, unica consolazione un soffio di vento, la brezza del deserto, sollievo immediato ma poi sabbia negli occhi, tra le scarpe, dentro i vestiti. Questa è l'attesa, o l'attesa dell'attesa? E se fosse un po'come il viaggio senza meta, con l'unico scopo del viaggiare? Forse che davvero quest'attesa è il fine, non il mezzo? E'lontano il cespuglio Leopardiano dell'Infinito, ma anche i cespugli elbani possono essere quelli che circondavano Recanati, che imprigionavano anime, pensieri, cuori, braccia, gambe e membra stanche ....Che sia questa attesa il nostro senso di isolani, di isolati, di Isole? E come isole , le vele che scorgiamo all'orizzonte ci fanno paura o ci rallegrano? O preferiamo solo aspettare per aspettare, ma senza voler essere pronti, senza veder arrivare , anche se qualcuno arriva?

Poi a volte, di solito accade all'improvviso, il silenzio dell'universo si spezza in parti ugualei, e i frammenti ti arrivano in testa mentre cammini tranquillo , sepolto da una coltre di sabbia antica come i millenni....è un po'come quando con un machete affilatissimo ti fai strada nella jungla amazzonica e scopri un Menir, pur sapendo che Avalon e l'isola di Pasqua sono lontanissime, quasi su un altro pianeta se diamo per scontato che questo pianeta esiste davvero, e che ne esistono altri...speriamo migliori. O almeno piu'colorati...e con qualche fiore, o prato verde. Basterebbe un Oasi.

Ma poi se ne vanno, come una solenne processione, prendono i loro stracci, le loro vesti sacre e funebri, e se ne vanno proprio...senza minacciare di tornare indietro...si allontanano dal pallido orizzonte camminando soli in coppie, sfilando la notte, il giorno e la distanza soprattutto. Non il freddo, quello viene allontanato saggiamente dalla vicinanza dei respiri e dei sospiri e degli attimi sospesi nel nulla.

Certe volte arriva anche la sera...mentre su vecchie sedie a dondolo cigolanti leggi un giornale vecchio di qualche anno e sorseggi una gelida limonata stancamente dondolandoti e aspettando che le zanzare estive si schiantino contro le plafoniere...e l'odore die pitosfori sembra lontano, ma non lo è ...ci sei sopra.

7

Essere invisibili, completamente e totalmente assenti, fuorviare da vie traverse e Maestre, spingersi oltre colonne d'Ercole Sansoniche, astrarsi completamente dal contesto finche' ti senti su parallassi ellittici senza frazioni e spazio in 3 dimensioni e in technicolor, correre sulle punte delle Piramidi di Cheope e ridere di Ramesse e del suo ridicolo pizzo, fino a sporgersi dalle seriose dune desertiche per osservare nascosto la rivelazione della Sfinge per porsi inerti e sublimi sulla cima del Colosseo, cavalcando a fianco di Giulio Cesare, di Napoleone, di Artemide e Topolino, per poi riposare le stanche membra dentro Sparta e sul monte Giove sfidare il primo originale Budda e distrarsi tra Yin e Yang, finche'il suono di sangue di un Clero muto ti accompagna silente in crociate nelle quali sai bene che la causa è giusta ma la sconfitta è ugualmente certa e ben definita anche come punto sulla mappa ...se i venti artici traportano datteri e perle dal Medio Oriente, allora vuol dire che finalmente hai trovato l'esatto equatore e il certo solstizio, mentre lo cercavi ...è stato quell'attimo di distrazione, proprio mentre ti voltavi a vedere se la prua affondava nelle onde, che è successo..improvvisamente la tua presenza è diventata un punto tangibile nell'universo. C'eri, e questo neanche un buco nero te lo poteva negare. Eri piu'forte e maestoso di una quercia, allo stesso tempo vetusto ma non saggio, esperto ma non sapiente, lungimirante ma inetto, allievo ma senza nessun maestro...eri porpora senza Cashmere, un Cammello senza Gobba, un leone senza criniera, un leopardo senza macchie e onte, una nave senza cavaliere e un cavallo sulle onde.

8

E ci sentimmo proprio come stelle danzanti nel cielo di mezzanotte mentre saltavamo da un tetto all'altro della citta'ancora addormentata, qualche sguardo di bimbo ci seguiva, ma finimmo nel cassetto delle fiabe che fanno un po'paura ma che guardi lo stesso sgranocchiando pop corn...Filamni di via lattee su di noi e sotto il vuoto cosmico, per qesto non lo degammo mai di tanti sguardi, solo ci caricava il respiro il suo patetico essere e esistere senza Dare, un incolnsulto spavento balenante istantaneo, alla stregua di uno spaventapasseri deriso dagli ucelli nel campo di grano,che prima di beccare le ali che avrebbero dovuto spaventarlo, finiscono il loro grasso pranzo serale , e poi lo degnano infastiditi, quasi fosse un peso per loro farlo e obbedire a una legge contronatura....scintillanti vesti bronzee vediamo nelle scarne stanze addobbate stancamente, prodigi di struttura balistica leggermente ondulante , forse a causa dell'incuria, forse del vento del nord che non era previsto in quel periodo dell'anno cosi'sterile di ogni emozione eolica...abbracciati, come i Dervisci, penzolavamo appesi a una corda di fiato, che al minimo respiro ci costringeva a guardarci negli occhi attentamente, come non avevamo mai fatto prima nei centocinquantun'anni e piu'che avevamo vissuto nella stessa stanza, condiviso lo stesso letto e disprezzato lo stesso cielo...la nomenclatura e la struttura e la fligrana del deserto rimanevano comunque un mistero asfissiante per noi , incerti e inebetiti da quella grande muraglia pianeggiante..Fermi il sole ci distruggeva , componendo palle di fuoco con i nostri pensieri che avevamo paura a far volteggiare verso il sole, rimemebri delle gesta di icaro e impauriti da quelle di Acheronte...ma come fare a resistere fermi, immboli, all'ombra accecante di una palma di datteri, e non pensare senza respirare? resistemmo, certo che resistemmo, ma poi i polmoni ci ordinarono di farlo e allora in un solo immenso assurdo istante scoprimmo cosa voleva dire essere parte del tutto, e ci pentimmo di esserlo..meglio fuggire nel niente, abbracciare il vuoto, toccare con mano la fine di mille strade, e girare gli occhi all'infinito senza vederci la nuca, che questo...che questa dolorosa e martellante consapevolezza di essere NOI il nulla, avvolti da carta patinata regale di compleannno di un piccolo principe, poi scartati, osservati con uno storcere di bocca, gettati nel piu profondo dei cestini della memoria. In una confusione isolata e isolante, è facile stenderci a aspettare il primo sole...come lucertole e ramarri in un club esclusivo e raggelante, raggomitolati come batuffoldi cotone imbevuto di benzina, pronto a diventare molotov alla prima rivolta...l'adolescenza è dietro l'angolo, vicino a un vecchio pedalo'arrugginito e sconnesso, appoggiato a un luna park pericolante che aspetta la fine dei suoi giorni, avvolto in pomeriggio texano di luce impropria...caldo e birra gelata, tacos e burritos vicino al fuoco fioco e scoppiettante di pop corn al mais. Un lupo distante...una mano gelida che tocca il fucile e ne segue le linee di madreperla...ricordando le prime lattine bucate e i primi coyote che uralavano alla luna in un lamento quasi da zombi...flashabck sul Mississipi , sulle chitarre di Robert, sul patto con il diavolo e con la vendita della sua anima sulla route 66, mentre lo scorpione onnipresente provava per l'ennesima volta a seguire la striscia bianca pitturata sul grigio. I cactus dalle forme alienanti vicino all'hangar 51, e coprente tutto, un gelido panno di amianto che per ironia sembrava attrarre il sole e la luce della falce della luna, invece di proteggere il relito del b52 al suo interno, fallendo meticolosamente il suo scopo, come d'altronde lo falisce ogni cosa terra e spaziale

Elisir di estate, antidoto di follia...la mia vita è chiara e precisa, e univoca: la mia vita è fatta di allunghi continui senza meta e senza scopo, allunghi che non finiscono mai e che sono cotretto a ripetere su distanze impossibili e probabilmente non reali, senza coordinate esatte, senza tropico e senza Madame Bovary, che non sono io...ma neanche chi mi sta intorno è Flaubert...ci sono giorni che i rintocchi spezzano senza dividere..che il profumo e il sapore del pane non, ne'mai sara'quello del Mulino senza farina...gira la ruota lenta e cigolante, su sentieri di Aspartame senza fuliggine..quella la lasciamo ai becchini dei tanti cimiteri tra i pioppi, alla cenere e al suo abbraccio, che ci disegna gessetti stridenti sulle lavagne mentre noi guardiamo dall'alto col sale sotto le ginocchia...La paura sarebbe anche certa e gradevole ne avesse le sembianze di una antica sirena omerica, e lo scolio che affiora piano dalla nebbia ci conduce Titanicamente verso il tallone dell'occidente e delle sue colonne d'Ercole, nebbia agli irti colli che piovviginando non va da nessuna parte. Si Ferma, si increspa, si taglia e si confonde sbagliandosi nell'entrata teatrale cadendo sui primi tre scalini. Le cartine delle citta'non si scompongono, vagano nelle ore liete che frappongono la sera alle stalattiti Jugoslave che ancora dopo secoli millenni e qualche secondo, brillano nello loro foto ricordo ingiallite, in album nuovi e lucidissimi di madreperla e avorio intarsiato, suoni e canti e non balli in balere decadute, ville distese che nascondono tra le colonne di marmo quadri maestosi ma coperti di tele messe apposta per farli vedere meglio al buio di candele che prima erano migliaia ma ora si stanno esaurendo a oriente, mentre a esta nulla di nuovo mi aspetta, nel fango di Providence per credermi, per farmi segno di si con la testa a ognni bugia che racconto loro, mentre con i mantelli i vecchi saggi apocrifi mi guardano , mi studiano , pensano e soppesano ogni mia lacrima amara,fiele di panforte e stormo di api che va verso il miele della mia ghiandola pineale ippotalamica inossidabile e colma e vuota.

9

Incubi e sotterfugi, lagne e miserie, raccolti mesti di saliva e frumento quando scende la sera..e si riposano gli avvoltoi e gli spaventapasseri timbrano il cartellino della domenica. Fragali preghiere e meste messe nere, sulla casa in collina di Providence. Striature grigie ai bordi e angoli smussati, venature senza vene e senza tante sottigliezze si precipitano dalle bianche scogliere di Dover, ma in lontanananza il grande Lupo chiama avvolto in un sudario di pensieri contrastanti, sciami sismici di molecole che si intrecciano con i protoni sparsi nell'aria. Chernobyl. Il campeggio lago cristallo, tutto la coltre attraversa fino ad arrivare dove vuole, sopra chi vuole , e sotto noi a aspettare, fermi, immobili, glaciali e variopinti arecchini senza carnevale e senza Venezia d'Inverno. Un balcone e cento piazze, troppo poche per pontificare un messia che non arrivera'mai, tutti gli eserciti del mondo non bastano per dire e udire senza dita quelle 4 parole assenti: padre, figlio, madre, fratello e spirito santo, e ce ne andiamo in pace aspettando la fulminazione sulla via di Damasco . Nodi e contronodi coassiali, diaframmi intrensecati in spazi vuoti di Escher, babilogrammi riprogrammatici che come aironi del nord volano. Lo leggemmo su libri sepolti da sabbie ma in realta'le pagine e le copertine erano le vere icone, non le lettere ..e la sabbia la si leggeva tra la righe, tra gli spazi e i nodi, non so se ci fosse davvero. Gli arabi con me mi guardavano ovviamente senza capirmi, come tutti del resto...giravano con le dita sporche le lunghe barbe ricce e gli occhi vitrei rosi dal fumo saltellavano dall'uno all'altro. D'altronde erano vecchi compagni, cresciuti insieme tra le foci del Nilo e dell'Eufrate, e non c'era nessun motivo perche'tra loro si mentissero...piuttosto era ovvio è piu logico, semmai ci fosse una qualche logica in quelle dimensioni dimenticate , che fossi io il Berbero tra i Barbari, che fossi io ad aver ditrutto le pergamene e le tavole di Mose'...che fossi io quello che mentiva. Equilibrismi impuri su lacci di sete ben oliati, affilati che tagliano le dita al tocco magico ...bisogna lavorarli piano, assecondare i loro frastagliati scossoni nell'aria e poi..all'improvviso bloccarli con un movimento netto deciso e solenne, imparziale nel suo guizzo fulmineo verso l'attimo istantaneo in cui tutto cade e nulla cede ..alcoliche allucinazioni lucide e marmoree, ombre di Incas in una lavatrice che sguazzano in una sorta di palude pre apocalittica e si intarsiano nell'alabastro purpureo dell'incanto di un camaleonte cangiante che si attanaglia alle fauci di un re sottomesso al suo ultimo vassallo, mentre valvassori e valvassini vagano senza meta, tagliati e divisi a meta'da un oscuro lucente contraddittorio scritto su una pergamena antic a. Il viale alla sera era coperto di foglie, ma nonostate questo non avevo lo stesso voglia di alzarmi dal letto per percorrerlo, almeno non fino in fondo..magari..si, magari mi sarei fermato a meta', intingendo nell'olio il pennello per dare forma pian piano alla statua che si stava formando monosillabica e impura, avvezza a tempeste magnetiche che si placano come stagni e ruscelli tranquilli, mentre un leone e una gazzella li guardano stanchi della loro corsa giornaliera a catturarsi, amarsi e uccidere. La trilogia, la trinita' e il trittico ineluttabile almeno qui, in questa parte di universo dove l'unica religione possibile è il voodoo e l'unica cerimonia accettabile è una messa nera a mezzanotte del 31 febbraio, sul Golgotha, o sul Gorgoroth.Se fossero artigli, sanguinerebbero..questo è il testo perfetto per libri di testo mentale da distribuire alla stregua di mense a grappoli, gettate nel piatto insieme a rancidi pure' e succulente patate novelle arrosto , sarebbe un titolo ideale per pagine formate da Bauxite e levigate smeraldo ocra, opere nel tempo stabili e allo stesso tempo eteree, perche'è nell'esatta assenza che si insinuia il dubbio del materiale esistente, cio' tramite il non sguardo, ma il sapere che c'è , chiedersi se davvero essa esista in precisa forma corporea. Di madreperla incastonati gli alianti di attimi alienati e alienanti vanno giu...un tonfo secco e scuro sul fango rotondo...guardavamo le navi che salpavano incuranti che ci potevamo salire anche mentre loro erano ferme, statiche e immobili in mezzo all'Oceano Mare. Ero totalmente consapevole, conscio esattamente che il disfarsi e il districarsi di un opera d'arte (?) la si veda solamente nel finale, quando è completa, articolata, esattamente allineata, baricentrica, pronta e sillogica. Come quando si vede un bimbo paffuto che mette una carta da gioco addosso all'altra..due o tre capannucce cosi'realizzate non fanno nessun effetto, ma un intero castello di carte e sabbia, su un tavolo deserto, hanno un volto e un identita'precisa e assuefante.

Eravamo comunque soli sotto i sette soli senza lune di Marzo, un marzo stridente, tanto dissimile da quelli decantati dai Profeti, quanto uguale nelle forme e nei colori. Sottoterra un tappeto umido e denso di scintelle scorreva Stigeo, Boschiano quasi nelle forme, se la firma sottostante non fossa quella di Escher con le sue colonne incollonate appoggiate e diseguali. Non fummo tenuti in equilibrio dal giunco prigioniero delle onde per un semplice colpo di fortuna che capita una volta ogni due secondi, e ti stringe le budella e te le torce salvo poi andare a naufragare in questo tristo mare. Corpi vuoti e teste pensanti immote, come Pasquali colombe portatrici di eufemismi, mentre il delirio tanto annaspato prendeva luce e colore da vetrate fiabesce di cattedrali nel deserto, pietrificate come è giusto che sia. Intonaci di manubri sfregiavano i 300 David di Donatello senza riflessi, giacche'il marmo e l'alabastro godono gia'loro della propria luce, e temono quindi riflessi che non siano a loro consoni, che non siano a loro aggraziati, e si. diciamolo, che non siano di loro degni. Portatori e portanti, di caucasica stirpe e di discendenza Estonica e Litianica scendevano dai letti con le pelliccie di daino ai piedi, mentre le leggende dei Vurdalak, i temibili vampiri dagli occhi spenti, accendevano le loro fiammelle nelle notti fredde della Brughiera, di rimando ai bosci silenziosi norvegesi, ai silenzi che sussurrano il tuo nome, al suo fantasma nella sabbia e al volto pesante e plumbeo di Carmilla, che ti guarda attraverso le foglie scolpite nell'incenso. La cenere aspetta il colpo di vento giusto, il maestrale favorito per innalzarsi come un araba fenice e tagliare il mare passando da Ponente, oltre le colonne di un Ercole coraggioso e mai sconfitto, visto che per ironia della sorte e contrapporsi dei ruoi deifici e salvifici della battaglia al contrario, ogni sua sconfitta sarebbe diventata vittoria tramite gli occhi cechi degli Omerici Scribi , orfani di madre Ilia,....

Il senso di strana soddisfazione che ti da lo stare fermo immobile in una strada deserta e assolta del Texas caldo e oleoso, non la ritrovi facilmente respirando profumi in Antartide...è diverso, piu'pregnante e assoluto il senso di vuoto, del non vedere nulla per kilometri e miglia e cento metri, tranne l'enorme palazzo bianco e giallo davanti, dagli scalini a forma di balaustra e in pendio..come una vetta Himalayana, come una fossa delle Marianne, o come una innevettata neve asiatica...occhi gialli che cercano scandiscono, immaginano e fanno male, servi di un dio Drago temuto ma non rispettato, come ogni dio norreno troppo buono con i suoi infedeli sudditi stupidi. All'Alba non sembrava neanche essere passata la notte, ma per nulla..acciottolati distanti sembravamo piu'vicini che mai, nessuno di noi o di loro che potesse dirsi davvero “personaggio", stagliarsi sopra gli altri con una qualche spanna di vetusta arcaica ( anche Gotica sarebbe andata bene) invece nulla, lo zero, in nihil, un estremo buco nero tollerato, anzi incoraggiato quasi, un assenza della presenza glaciale, agghiacciante nel suo fuoco che non bruciava, non stimolava cercello neuroni cuore e fegato tenue. Sembravano quasi dei da lontano, immobili, statue che sfidavano le crepe del tempo , dello spazio e degli abissi con il loro sapere..erano loro che aveva visto l'uomo di Providence, erano il loro scampanellii che aveva sentito Poe, era il loro vino ebbro che aveva assaggiato Baudelaire fino all'ultima goccia e forse era il loro profumo che aveva attirato Nosferatu dal profondo delle segrete cantine, con rumore sferragliante saliva verso le sue stanze...trascinando il sudario sudato ma immacolato di luce ardente, fiamma carbonica, seno giunonico, applausi senza sipario e rumore senza suono infrantio di vetri e di schegge che restano sospese a mezz'aria tra i piedi e le dita intaccando le unghie, le vene, le arterie,..i femori spezzati le ossa lacerate, le croci crocifisse e buchi neri violati da sospiri delle notti di Venezia, ferma sopra l'acqua fangosa di bisce peccaminose che strindono che nitriscono ricordando i morsi ai cavalli nelle epoche di alberi e battaglie e sussurri. Inseguire le balene novelli Pequod Achabiani cobalto smaltati plumbei e Puri, Melvilliane ville in mezzo al mare, conchiglie dove non si sentono i rumori delle onde e le albe lampeggiano chiare distanti. Si innalza una motagna la mattina presto quando l'alba non risponde ma se ne va, sogghigna gli occhi e se ne va, sparisce...cosi', semplicemente. Strenuamente combatte. Se ne frega.

Risorgere equivale secondo gli Assiri a morire dentro, fregandosene della decomposizione e delle ceneri terrene. Terriccio equivalente a sabbia di clessidre si frastagliano su scogliere ...Gli Eucalipti battono le ali al vento, è Maggio, ma non lo sembra...stanche sono le membra di una giornata finta di lavoro che non è avvenuto, si sprofonda in miniere di Bauxite che di vero marmo non hanno nulla , infatti non brilla al sole, e se ci si getta acqua fredda le striature non appaiono nel buio di una torcia di Kerosene. Non se ne vanno i tarli, restano finche'non li manda via il tempo, negli armadi scheletriti e ingolfati di tarme e resti, non amabili, ma passibili e appassiti come uva passa quando la si coglie troppo in fretta, prima che gli avvoltoio si nutrano delle osse a pezzi, segate letteralmente in due dalla Falce caduca e affascinante di una forca medievale. Sono intarsiati i diamanti, intarsiati di perla, madreperla e sangue coagulato, vampirizzati e frankensteinati in opali di cera grezza, morbidi e solidi al tatto e al pensiero, astursi arcani di setose onde che portano alla deriva leggera in un mare di sale iodico e fosforoso...se fossero lapilli cadrebbero dall'alto come stalattiti al contrario mascherate esternamente da stalagmiti, ma che dentro rifrettono la forma , gli odori originali a atavici, ignavi e assenti dal contrasto...eravamo tanti ad aspettare che la crisalide prendesse le forma di quelle forme idealizzate, che fino al giorno prima avevamo solo udito nei nostri peggiori incubi, ma quando li sognavamo erano davvero piacevoli all'umore, alla fragranza e al ricordo subito dopo che i piedi si posavano al suolo esterno del letto...Poi dopo, come per una improvvisa censura,ci veniva subito sottratto al pensiero quel tenue ricordo idolatrato fino a un parsec prima..restavamo immoti a galleggiare come sospesi su liane immaginarie e nodose, sentivamo solo che qualcosa ci era stato tolto, ma per quanto ci sforzassimo non si riusciva a capire cosa, dove , come, quando e perche'...solo " da chi" si capiva...beh. ce l'eravamo tolti da soli il sogno. Come creta.

Su quella tela giacevamo immuni, come pietre aride e umide del tempo scorso, ma inzuppati fino al midollo del calendario a clessidra del tempo che ci restava...ma restava anche l'aridita'che ci seccava i pensieri, che diventavano quasi piante grasse e si abituavano a questo microclima da stillicidio dei neuroni...a volte passava una sigaretta, barlume di spazio concreto in un universo utopico, ce la passavamo ma stanchi, svogliati, senza poi tanta intenzione di accenderla e dar fuoco ai ns pensieri..In lontananza, quasi sospeso marmoreo su flutti stanchi, pareva una gondola quella che ci cullava sulla onde, pareva Itaca quella che ci aspettava e pareva Prometeo quello che sostituiva Icaro nel suo volo cadente. Perpendicolare come un aeroplano di carta, volava basso e ci fischiava nelle orecchie e ci spengeva i mozziconi, ma l'occhio lo seguiva per poi abbandonarlo a Destra, ebbro di pulsioni aromatiche che obbligavano la testa a spostarsi di lato leggermente a lui, per mettere a fuoco non la sua sagoma, ma solo il profilo che intuivamo nell'Iride fosforescente di quel mattino idiota di fine secolo. Il bagnasciuga ci toccava le dita e la testa, mentre creava intorno un sospespo campo fiorito che sapeva di arcobaleno, ma al quale era stato sottratto qualche colore come per incanto, ma la magia sospendeva il tragitto che qualcuno aveva fatto nei campi, tra i fiori, in mezzo alle dune , per arrivare a noi...per arrivare a noi per non dirci nulla, assolutamente nulla...la domanda finiva passo dopo passo, si incupiva e si zittiva appena era possibile farla, quando avrebbe avuto un senso, quando era quasi l'unica domanda, l'unica cosa possibile da dire...l'alternativa: guardare il tramonto, e qualcuno finalmente lo disse: "basta parlare, abbiamo bisogno di piu'tramonti"...e come a esaudirlo arrivo l'Alba...ma capimmo che era un ennesimo scherzo di quel Maggio imperiale, che ci mescolava carte e pezzi di natura e ci faceva credere che fossimo davvero li', e che lo specchio riflettesse davvero il nulla del quale eravamo fatti...cerca di argilla che si leviga con secoli di risacche...un faro, uno scoglio, un alga...molte alghe...ecco quelli eravamo noi, e gli specchi ci avrebbero reso giustizia semmai si fossero degnati di rifletterci...quindi la sera, quindi mille mattine, e nessun pomeriggio a farci da varco. Ci cercavamo per capire di chi era DAVVERO la colpa, perche'èra ovvio che nessun giudice avrebbe potuto infliggerci una cosi'dura condanna per i nostri non peccati...ma poi quando qualcuno indico' con un dito lo specchio, e lui per magia ci illumino' e ci riflette', capimmo quello che dovevamo capire cento secoli e un giorno prima ...capimmo quello che in un minuto ci fu piu'chiaro dei nostri anni passati a scavare...capimmo che la nostra colpa eravamo noi. E lo specchio si ruppe.

Esangui, fermi, ma proprio esattamente fermi senza lamentarci di nulla guardavamo l'alba aspettando il tramonto, come se fosse una pausa di un attesa altrimenti insopportabile e sopportata. Ci giunsero voci e telefonate, ma mai, mai nessuna lettera. ..un gabbiano...ci aggiustavamo spesso per stare comodi , sospesi in un ponte di liane tra sogno e realta', tra follia e saggezza, tra lacrime e lacrime ancora...tra barche spinte dalle onde e arpioni pronti a colpirci alle spalle...lo sapevamo questo? e sapevamo di saperlo mai? e se fosse successo, quando sarebbe successo di smettere di aspettare la ferita al cuore? nulla verrebbe mai omesso se avessimo la possibilita'di scriverlo e raccontarlo in giro, solo che non esistava un giro per raccontarlo...una distanza che ci colmasse, esatta, monocromatica, ribelle agli impulsi sonar laser e dei polmoni, esisteva solo il battito regolare, che se si fosse realizzato avremmo capito...Le ore passavano, ma la sabbia della clessidra della quale la spiaggia faceva parte stava immobile lenta e distenza come un orologio molle, come un ala spezzata quando il corpo vola pendendo da un lato, mentre il vento fischia sui camini e sui galli circolari rotondi...un corpo esanime, una schiera di case prefabbricate, un vicolo, due, mille , tre cadaveri , un fiore, un essenza , un assenza...un bloc notes ma la penna pesantssima ci impediva lo scorrere dell'inchiostro sul papiro , volteggiando ancora sui muri dove i geroglifici lasciavano spazio alle vene del ferro metallifero variopinto. Dicono che il blu è il colore della paura, dei sotterfugi e delle manomissioni dei silenzi, ma per quanto guardavamo anche con occhiali , nessuna traccia di blu...solo il cobalto dei sogni, la furia del rosso, il verde che faceva stendere su un campo minato a aspettare sognanti che qualcuno passasse , quel qualcuno che sarebbe esploso solo capestando noi, mentre dalle mine si sarebbe certamente salvato con qualche furbesco balzo in avanti. I capostipiti delle genti sapevano che non saremmo mai arrivati in cima alla montagna senza fine, un monte di marmo, una montagna della luna dove anche le colline hanno gli occhi e ti guardano sacre, e distolgono lo sguardo casomai per un immenso sforzo di volonta'tu ce la facessi a passare, per un trucco, una via scavata dove non dovrebbe essere, un passaggio alato irregolare, ma se non c'è gara, se le possibilita'sono chiude, non c'è neanche il trucco per aggirarle...o no? Le risposte arrivavano , ma negli orecchi c'era la cera calda, nella bocca il piombo fuso, le braccia trascinavano pietre da altare e le gambe erano seppellite nel fango.Immergersi e poi risalire, eccolo il senso del tutto. Equamente, quasi pedissequamente, si cade e ci si rialza. Quasi troneggiamo sull'altare della nostra Sconfitta che ci guida come pesante Polare in un equatore avvizzito, stanco e fumoso dal quale non si evade ma ci si circonda di evasioni come se fossero un unica intera monolitica prigione terrena che poggia su zolle farcite di malessere, disgusto, orrore, risonanze e cupo pomeriggio all'oratorio. Distese di verde sclerotico ci frastagliano le nostre scogliere di ven e di sale, ma qualcuno in lontananza ci osserva vestito come uno spavenapasseri a festa e i suoi collegamenti sono fili elettrici colorati e multiformi che ascoltano il richiamo dei corvi, un suono e si illuminano....ma allora mi chiedo, perche'al suono delle Sirene fanno non fanno luce?

Assonate distanze si assommano, assonnate per la notte insonne, discrepano i muri quando le vediamo albeggiare...la noia a volte si impadroniva di noi come creta , ci modellava e ci indolenziva le ossa penetrandoci dall'interno come un maglio pesante e chiodato...era una specie di fiume lavico quello che vedevamo da lontano scendere con una pesantezza, un indolenza esasperante e patetica nel suo non voler terminare, prolungandosi serpente che si ingoia se stesso, un cobra che con gli occhi si guarda la coda e la mangia avidamente, non pensando minimamente che sia la Sua..danzano mille stelle comete orfane di pianeti in distanza, un viaggio tra le stelle che piu'che un odissea si conferma una perfetta Itaca, dilaniata, straziata dai troppi viaggi consueti e longitudinali , gratis e costosissimi, ma tutti perfettamente mantenuti sulla stessa equidistanza, per una democratica navigazione nello spazio impetuoso, svuotato da ogni misero contenuto. Una nave alla deriva , ma che con la prua cerca lo scoglio, evita l'iceberg e vira verso le colonne d'Ercole, passa dallo stretto di Bering e verso il mar nero uccide il mar morto, scavalcando l'equatore e i tre tropici...il sale e la salsedine si mescolano nell'acqua piovana dei marinai d'acqua dolce , e i cestini con i frutti acerbi invadono le stive, simulando un natale povero, che non arrivera'mai...è questo il senso del loro viaggio, il nesso di chi viaggia eludendo i monsoni, che intoppa in sirene mute e vocianti, urlanti e sinuose che guardano e non distolgono mai lo sguardo, neanche di notte, quando le loro papille diventano stelle luccicanti e i loro sguardi candide farfalle svolazzanti...C'era una bambina una volta che era come loro, tesseva una tela snodata e perfino profumata, ci passava le notti alla tenue luce fioca di una candela. Non dormiva mai , passeggiava, cuciva, tesseva, chiudeva gli occhi, sognava...ma non dormiva...e neanche ricordava il suo nome quando si svegliava, senza capire dov'era...ed era bellissimo cosi'...sentire solo il profumo, e scordare il nome. Le giornate erano passate correndo e passeggiando, correndo e passeggiando nei campi sfioriti , sembrava quasi che piovesse ogni volta che arrivava Lei e si accovacciava cercando a volte un fungo, a volte un albero da far crescere a forza di sospiri, a volte uno specchio immerso nell'acqua gelata di una fontana nascosta...gli alberi e gli Eucalipti in certe zone a ovest creavano sorti di cornici verdi e marroni, che si spostavano facendo una conice su misura quando Lei passava...intanto uccidevano un gabbiano poco lontano...le sue gocce di sangue si trascinavano pigre imbevendo un terreno prima considerato fertile poi terra di zucche, e poi infine, in una aritmetica progressione esponenziale, solo un ritrovo per vecchi spaventapasseri che la notte quando la falce della luna esalava l'ultimo tenue bianco, si ritrovavano per giocare a carte napoletane, mentre da lontano la montagna cupa si avvicinava...piano,.un muschio dopo l'altro, un albero per volta, ma si avvicinava, e tenendo fermo lo sguardo a terra ne si poteva sentire il rumore acqueo dei ruscelli lenti nella sera lieve, oceanica, distratta, mista, purpurea, zotica nelle sue linee, filiforme e rotonda, lunare solare e gioviale, ma distorta. Inutile cercare il recupero anche solo parziale, a ogni occhio e a ogni esame, da qualsiasi parte la si guardasse, ne si togliesse una spalla per analizzarla, era sempre e comunque indissolubilmente distorta e il suo concreto essere ne veniva privato di vita. Per sempre, e non solo. Sembrava un regalo quel giorno in piu' di vita, ma non valeva nulla, e allo stesso tempo era tutta la pirite del mondo, l'oro degli sciocchi, il nettare degli dei , il tallone d'achille e il bacco tabacco e venere dei saggi stolti e assonnati...il mio regno per un cuscino, mormoravano stanchi nelle miniere..." ma quale Regno? " ne era l'eco sorda.

Effetti di Anfetamine su stanche membra privilegiate dai secoli e infrante dal decennio, scalfite dal tempo e battute da classidre vuote ornamentali, impresse su graffiti a muro da amanuensi stanchi e svogliati , caduti a lato dal troppo sonno imposto e frammentato di incubi. un mammouth procede lento e una farfalla vola veloce mentre fa vento e sballa gli equilibri e le danze arcaiche.Oltretombe a migliaia si svegliano e camminano dentro foreste pluviali e boscose , portando con se'vecchie Sindoni torinesi. Imparare a usare manoscritti, leggere vecchi utensili, addobbare alberi giaìdecorati e distruggere decorazioni, arti antiche che nel ricordo si ramificano langui pingui e infantili, una musica carillonica che pare una distesa landa desolata Argentina densi di riflessi e risonanze , magnetiche alcune, e altre come pampani alla deriva in uno stagno paludoso gassoso e maleodorante che profuma di antico novita'. Scale ripide nelle quali inevitabilmente e inconfutabilmente ti ci trovi sempre all'esatta, perfetta, accurata meta'ideale, meta di destinazioni peregrinatiche e enfatiche, su precipizi che si espongono direttamente al contrario dell'abisso...formano una sorta di illogica biosistematica asetticita', poiche'sono esattamente fermi immobili , non emettono tattili sensazioni, non emettono grida o pubblicita'varie...solo la pioggia è la costante...nera, elettrica, fumosa, calda ma dentro tiepida,ti togli i vestiti , resta addosso, resta addosso e non va via neanche dopo la piu 'accurata delle bagnagioni in un Gange elettroradiattivo e fastidioso come il ronzare di cento eserciti formati da coppie di zanzare a sonagli intrappolate in fili elettrici e luminosi, spenti. L'odore di incenso era quasi acre, portato da effluvi di castagno e betulle a quanto si dice prelevati direttamente in Siberia ibernata, nauticamente procedemmo sotto il pelo dell'acqua e arrivammo sulla spiaggia bagnata da una gialla distesa...un attimo, un ora per sentire qualche rumore, ostile o non, ma nulla...allora procedemmo arrampicandoci , due alla volta partendo dall'ultimo in coppia con il primo, sulla montagna che al buio sembrava davvero minacciosa e cupa, e infatti lo era per davvero...lo sentivamo che lo era, nella cenere dei sigari cubani rovesciata sulle autoblinde, sugli Stukas, osservando perdersi e districarsi le scie dei benzina lasciati dai Sophwith in mezzo, nella meta'esatta delle dune sabbiose imperlate di azzurro...poi c'era quel suono di sirena amica nemica che ci incitava e ci bloccava, una sorta di ripetitivo entusiasmo mal e ben celato nel forziere. Quando lo aprimmo tutti sapevamo che era pieno zeppo, anche quando la falce della luna ingannatrice dimostrava il contrario opponendosi a uno strano gioco di ombre che sussurava come la voce di una conchiglia scheggiata quando la prendi dalla sabbia del bagnasciuga polverso, esanime e uniforme nella sua divisa. Il volo fenifico da radente diventava suadente per poi inanellarsi a capofitto verso l'alto cercando un comodo rifugio tra le rocce alte del deserto piatto, tra le rive del fiume asciutto e tra le onde del mare prosciugato dalla pioggia...catapultava energia quel volo, e a ogni battito d'ali moriva lentamente piano e velocemente, in silenzio ma piangendo tanto piano da assordare noi che ce ne stavamo a migliaia di pochi metri di distanza vicina . Annusanti crepe a distanza ci fermammo, ma all'improvviso...lo sguardo vagava intorno e dopo solo pochi mesi ci accorgemmo che eravamo in un vasto ma confinato circolo interno che ci delimitava parole e pensieri, mentre per le opere e soprattutto per le omissioni avevamo tutto lo spazio che volevamo per i nostri giochi sospesi, altalenanti senza rete sottostante, tolta controvoglia da chi si doveva buttare per primo, ma proprio per questo riceveva i primi applausi, che si sa, sono sempre quelli piu'forti, convinti e sinceri...ma falsi. Occupando tutta la carreggiata pensavamo di essere primi e piu'bravi degli altri, che arrancando tra borracce vuote e cibo muffoso si proteggevano da sole con cappellini improvvisati, rubati a cadaveri che con il loro occhio cavo seguivano passo dopo passo le impronte dei ladri assassini..dei geroglifci assimilabili a una mappa persa e recuperata tra tombe e tombini alla ricerca della montagna della luna perfetta ( non la luna, la montagna lo doveva essere) e colmi di ricordi da bambini..latte versato , marmellata sopresa e soppressa, fumo di incanti e alberi di natale, oggetti che brillano anche quando la stanza è chiusa , sigillata, e l'unico spiraglio di luce viene dal triciclo appoggiato al muro che si trova in linea perpendicolare con il raggio di stelle di una costellazione qualunque e approssimativa, prossima e futura, venata di legno che dopo cure sapienti diventa marmo, perche'ormai nessuno vede piu'in prfondita' della parte in superficie, e piuttosto che ragionare, si raggomitola su se stesso in fondo alla cantina, evitando i primi tre scalini, suonando un violino che diventa arpa, si fa oboe e si trasfigura Pianola vivaldiana e bach non ascolta piu', è stanco , se ne va, abbandona la stanza con il suo tipico fare altero, con la sua invidia per Beethoven e Salieri, ma anche con la sua devozione per Mozart...e si stupisce guardandosi allo specchio sul perche'provi tanto astio per i primi due e che questo non sia moltiplicato per l'artefica del secolo...forse, pensa e elabora tra se e se'..forse non sono degno neanche di invidiare Mozart, di copiare Michelangelo, di irridere Raffaello e di disturbare Leonardo, il cui solo nome mi fa vergognare del volgare cognome mio .

Allineati e ben coperti come soldatini, gli alberi a Ovest aspettavano lenti il cadere delle foglie che quest'anno i vecchi a Sud avevano detto che sarebbero stati veloci. Ma cosi'non fu...segui'invece una sterminata e potenziata violenza verbale che fece ricredere tutti , che quello non sarebbe stato il solito inverno Diseguale. Fummo poi colpiti anche noi dallo scadere e dallo scoccare di giorni e sinpasi inutili, pesanti, aliene, caduche e mobili come sabbie delle dune del deserto elettrificato ansante e biforcuto come le sponde del Gange..estremizzando e allunando sparse, cercammo ogni succo dagli alberi per ricavarci una capanna comune, per mettersi in un cerchio Wiccan e guardare tutti insieme la forma della spiaggia che declinava verso il mare , ma a vista d'occhio perdemmo i sensi annusando e lasciando al tatto le altre forme di sensazione compatta leggermente genuflessa e ricordante forme, colori, di terra acre lasciata al sole per millenni...mentre la notte veniva coperta per non prendere il fresco delle stelle che avrebbe rovinato l'asciutto mistico....